martedì 19 febbraio 2013

Non è il Tarantino che preferisco!

Non credevo di dirlo, ma Django Unchained non è davvero uno dei film di Tarantino che preferisco. Mi dispiace ma non c'è stato tanto pathos come speravo e come sembrava preannunciare lo stesso trailer di cui avevo parlato con cotanto entusiasmo nel mio post dello scorso ottobre... e il finale, francamente, non mi è piaciuto "pe 'nniente".
Texas, Stati Uniti d’America, anno 1858. Il dottor King Schultz (un magnifico e impeccabile Christopher Waltz), un cacciatore di taglie di origine tedesca, è sulle tracce dei famigerati fratelli Brittle, ricercati dalle autorità per vari reati. Per stanarli ha bisogno dell’aiuto di uno schiavo, Django (Jamie Foxx), l’unico capace di riconoscerli. In cambio del suo aiuto riceverà parte della ricompensa e la sua completa libertà. Questa strana coppia parte così alla ricerca dei tre malviventi con l’intento di consegnarli vivi o morti pur di incassare la taglia sulle loro teste. Una volta completata la missione Schultz propone a Django il suo aiuto nel ritrovare la moglie Broomhilda (una Kerry Washington a tratti poco convincente), venduta come schiava a un possidente negriero. Così i due iniziano un lungo viaggio attraversando tutte le principali piantagioni di cotone, fin quando non arriveranno a Candyland, dove faranno la conoscenza del crudele monsieur Candie (uno straordinario Leonardo Di Caprio, che è stato capace di regalare un’interpretazione da cardiopalma, anche se purtroppo molte sfumature nell’uso dei toni sono andati persi nel doppiaggio) e potranno finalmente mettere in atto la loro vendetta.
Con il suo Django Unchained Tarantino riesce a modo suo a riscrivere ancora una volta uno spaccato della storia degli Stati Uniti d’America, aprendosi a un uso particolare di umorismo a tratti quasi illogico e di ironia “feroce” (ne è un esempio lampante la scena dei berretti nella fase di preparazione dell’imboscata da parte di uno sconclusionato gruppo di quelli che potrebbero essere definiti dei precursori del Ku Klux Klan).
Tarantino ha deciso di raccontare lo schiavismo attraverso un genere da lui tanto amato: il western. Grazie a questa scelta si è sentito di poter omaggiare tanti dei maestri da lui osannati come Sergio Leone e con un citazionismo più che visibile attraverso determinate inquadrature, primi piani e veloci cambi di camera. Non nego che il film sin dall’inizio mi aveva molto incuriosito vista la suspense dietro il ritrovamento di Broomhilda, la fotografia e la colonna sonora a dir poco magnifiche, la folgorante conoscenza del cattivo Calvin Candie e poi… come ci si accinge verso il finale la mia delusione si è fatta sempre più forte. Concordo pienamente con quanto affermato da molti critici cinematografici ovvero che, rispetto a Bastardi senza gloria (la cui storia riusciva ad agganciare l’attenzione dello spettatore fino alla fine), Django Unchained è senza dubbio ben diretto e ben recitato (anche se questa volta l'attore Samuel L. Jackson non brilla nel suo ruolo), ma risulta meno interessante soprattutto nella seconda parte un po’ lenta e nella conclusione in un classico (ma alquanto opinabile) stile splatter-tarantiniano.



P.s.: Il regista Spike Lee (Malcom X, He got game, La 25a ora e Insider Man) si è lamentato per l’uso ripetuto della parola dispregiativa “nigger” (negro), che nel corso del film viene usata più di un centinaio di volte… capisco la delicatezza del tema scelto, ma il film è comunque riuscito a trasformarsi in un mezzo di denuncia morale e sociale, quindi non avrebbe avuto senso essere politically correct, narrando una storia che affonda le sue radici proprio nel profondo Sud, che per un tempo interminabile ha trovato naturale sfruttare le persone di colore

P.s.s.: Vi invito ad ascoltare la canzone Ancora qui, che è stata composta da Ennio Morricone appositamente per il film ed eseguita dalla magnifica voce di Elisa.

... ci sarebbero tante altre informazioni di secondaria importanza di cui vorrei farvi partecipi, ma cercherò di trattenermi! :P

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