mercoledì 29 ottobre 2014

Il ritratto di un Giovane Favoloso

Non è stato semplice decidere che cosa scrivere del tanto acclamato film Il giovane favoloso… Trascorsa quasi una settimana, non credo di aver trovato la giusta chiave di lettura di una pellicola dai tratti così poetici ma al tempo stesso dai tempi davvero troppo dilatati. Senza dubbio è un film che traccia con notevole sincerità (e simpatia) il ritratto di Giacomo Leopardi, un genio italiano dall’animo fragile, all’epoca incompreso e oggetto di discussioni tra gli intellettuali del suo tempo.
Condivido pienamente le parole del regista Mario Martone, il quale  ha definito “Il giovane favoloso” la storia di un’anima. “Affrontare la vita di Leopardi significa svelare un uomo libero di pensiero, ironico e socialmente spregiudicato, un ribelle. Si mette sempre l’accento sulla malinconia leopardiana, ma sono la forza dell’illusione e la consapevolezza della caducità del vero i tratti distintivi della sua modernità. In questo senso Leopardi parla di oggi”.   
Il racconto, infatti, traccia una biografia sommaria dei fatti più salienti (e curiosi) della giovinezza dello scrittore e poeta recanatese, trascorsa per lo più tra i libri dell’immensa biblioteca di famiglia fino ai suoi ultimi giorni a Napoli passati in compagnia del fidato amico Antonio Ranieri (Michele Riondino).
In questo ritratto (lacunoso per alcuni aspetti) emerge però una splendida ricostruzione negli ambienti e nei costumi della società ottocentesca italiana.
Il Leopardi, interpretato in modo a dir poco magistrale da Elio Germano, non ha nulla a che fare con tutte le nozioni che ci sono state regalate a scuola: Leopardi era infatti molto di più del semplice pessimismo cosmico che sembrava riassumere per i miei professori l’intera poetica di questo grande scrittore. Dal film affiora soprattutto il suo lato buffo, il suo disagio interiore contro una società in cui non si ritrova, ma specialmente il suo senso di ribellione contro la Natura che lo ha imprigionato in un corpo fragile, contro Monaldo (Massimo Popolizio), il padre-padrone, e soprattutto contro la sua città, Recanati, che gli andava troppo stretta visto il suo genio creativo.
Come detto sopra, nonostante l’estrema lunghezza del film, dove troppo spesso il voice-over o le immagini sono state il punto focale di un racconto lento e esageratamente descrittivo, ho trovato davvero magnifica e toccante la lettura de ‘L’infinito’ ma specialmente quella nel finale dei versi della poesia ‘La Ginestra’, che, attraverso delle immagini toccanti e potenti, hanno regalato un crescendo vero di emozioni.
L’unica nota positiva di questo film è che ho sentito davvero una gran voglia di riprendere le poesie di Leopardi e leggerle con occhi diversi…   


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